Le scarpe in mano I



Introduzione
Scarpa : s. f. [forse dal germ. *skarpa «tasca di pelle»] Calzatura che riveste e protegge il piede… (dal vocabolario dell’Enciclopedia Italiana Treccani).

Un eccesso di zelo citare la più illustre enciclopedia italiana per una definizione così scontata. Basta e avanza l’esperienza comune per affermare che senza dubbio le scarpe sono fatte per i nostri piedi e per accompagnare i nostri passi. Eppure, cambiando posizione dal piede alla mano, le scarpe si possono trasformare da accessori del nostro abbigliamento a protagoniste di storie di vita, autentiche anche quando sembrano inventate, diverse com’è diverso il percorso di ognuno di noi.   




        I                                         

Tanti anni fa, quando, purtroppo, anche in Italia c’era la guerra, tutti gli uomini erano andati a combattere.
 Allora le donne si misero a fare i lavori che di solito fanno gli uomini. Questo accadde
anche nel piccolo paese dove viveva mia madre, che allora era una bimba. Una delle sue molte zie, Sabina, si mise a fare la calzolaia, perché nessuno più accomodava le scarpe vecchie e faceva le scarpe nuove. Non ho mai saputo da chi avesse imparato il mestiere di calzolaio, ma ricordo l’odore di pelle e di colla che c’era nella stanza dove,
molto tempo dopo, zia Sabina lavorava ancora, riparando scarpe per tutti: c’erano ancora le forme, piccole per le scarpine da bimbo, grandi, più grandi e gli strumenti, i chiodini, i fili. La mia mamma mi raccontava che fu proprio la zia a fare le sue prime scarpe con i tacchi alti, di pelle grigia, morbidissima, avrei voluto averle anch’io.


Le scarpe in mano II

             II

Un paese come tanti, adagiato tra la riva del fiume e una bassa linea di colline, con intorno acque di palude, lago e mare. E campagna: il piano e la bonifica, nera e torbosa.
Vita di campi e di cava e poi le prospettive cambiate dal progresso, con i suoi benefici e le inevitabili contraddizioni.
E’ in questo quadro di composta vita paesana che irrompono novità in contrasto con la semplicità del costume, con la mentalità corrente e la visione del mondo di una comunità antica, ma tutt’altro che antiquata, radicata nei suoi valori e nella solidità delle sue, magari modeste, certezze.
Un locale notturno allestito in uno degli edifici più vecchi del paese, con la sua austera mole in pietra a vista, un frantoio ormai in disuso da anni. E proprio “Il Frantoio” fu il nome scelto per il night club.
Per il paese iniziò una notorietà un po’ imbarazzante, come se la mondanità della vita notturna si estendesse anche ai suoi abitanti.

Le scarpe in mano III



        III


Farsi “mandare dalla mamma a prendere il latte” non è sempre una cosa facile.
Io ne avrei fatto volentieri a meno, per il semplice motivo che la famiglia di agricoltori dalla quale ci rifornivamo del bianco alimento aveva un grosso cane nero, dal pessimo carattere. La mia irrazionale paura per gli amici dell’uomo a quattro zampe è sempre stata insuperabile, qualunque fosse la loro taglia. Buck era decisamente un grosso cane, nero, a pelo raso, che mi faceva ancora più paura, con quel guizzo dei muscoli che si indovinava sotto il manto lucido. La sua ugola minacciosa mi rintronava gli orecchi, la voce del forte abbaiare saliva e scendeva fin dentro la testa e la pancia. La sua catena, poi, era così lunga che arrivava quasi al muro esterno della casa e, per me, svoltare l’angolo e raggiungere la porta d’ingresso era un’impresa terrorizzante. Era inutile che i padroni mi rassicurassero sulla non pericolosità del loro animale. Fin dal primo pomeriggio il mio pensiero, sia che giocassi o eseguissi i compiti, era dominato dall’avventura serale del rifornimento giornaliero di latte, che solo raramente riuscivo a delegare a mio fratello, il quale  aveva già le sue incombenze. Avrei eseguito piuttosto le più ostiche divisioni a tre cifre e svariati decimali, ma per lo meno quelle non mordevano.

Le scarpe in mano IV



        IV


Dalla casa dove Buck aveva fatto la guardia per tanti anni, legato al robusto tronco dell’olmo, con quella  lunga catena che tanto mi impensieriva, alla casa di Ottavio, in linea d’aria ci saranno sì e no duecento metri. Lasciata la strada provinciale, subito dopo la prima curva della lunga via che percorre tutto il centro del paese, si apre la corte, una volta tipicamente agricola ed oggi ormai adeguata alle esigenze del nostro tempo. Anche qui, davanti alla fila delle abitazioni, lasciato il posto all’ampia aia, indispensabile nell’ambiente contadino, il portico e la stalla offrivano riparo rispettivamente agli attrezzi e agli animali. Il deposito del letame e quello del pozzo nero, la latrina esterna, il pagliaio per il fieno e la bica delle presse di paglia  erano i necessari complementi per l’attività che si svolgeva nei campi e intorno a casa, secondo l’alternarsi del ciclo delle stagioni e delle colture.

Atene


“ …E quando al telegiornale parleranno della capitale della Grecia, vi ricorderete di me!”
Lontana e facile profezia, e quante occasioni ci sono state, dal nefasto regime dei colonnelli alla crisi economica degli ultimi anni. Eppure quel nome di città “culla della civiltà occidentale” ( sembra di sentire il coro di tutti i professori di storia e filosofia… ) per tutti quelli che l’hanno conosciuta non può non evocare una presenza discreta e affettuosa, con  la quale per tanti anni abbiamo condiviso un pezzo di esistenza.
Atene, il cui secondo nome era Cornelia : la storia con la  esse maiuscola si affacciava anche qui, con la madre dei Gracchi, suoi gioielli, di virtute esempio, ma la titolare non apprezzava quel sentore di corna che la radice del nobile nome richiamava alle nostre orecchie plebee, preferendogli l’ellenica gloriosa memoria.
E se il cognome da nubile era un normale Pieroni, quello da coniugata, Bellini, portatole dal marito Oreste, venditore di carbone, era come un ornamento per lei, che amava l’opera lirica e spesso tornava a vivere e a rivivere, nel ricordo, lontani spettacoli al ”Verdi”.

San Michele



L’edicola, su in alto, a vigilare
del vecchio borgo le due strade in croce;
e senti il passo e conosci la voce
di quello che il saluto va a scambiare.

Nella nicchia, di gesso contornata,
la forza di un’immagine ormai stinta:
l’Arcangelo, che in lotta  mai cessata,
punta la lancia sulla bestia vinta.

Pochi passi più avanti, tristemente,
parla la Storia, sulla pietra dura
per ricordare una vita innocente.

Divorata da un’altra bestia oscura,
in un passato ancora a noi vicino
che non dovrà mai più fare paura.

                                                    Vecchiano, Settembre 2008

                                                                                                                                                                                                                                                                                       

Novembre

 Contro un cielo di piombo, i ciclamini
rabbrividiscono con la testa china;
tremano sugli steli troppo fini
alla livida luce mattutina.

Le nubi nere minacciano dal cielo
mentre la pioggia batte contro i vetri.
Novembre già promette il primo gelo;
la notte porta giorni brevi e tetri.

E’ tempo che la terra si addormenti,
nella promessa di una nuova vita,
che la stagione buia non  spaventi.

L’autunno ci rinnova affetti e odori
tra i domestici riti della casa,
e intanto ascolti come piove fuori.


    


     


                                                          

Vecchiano*




E questo è il Serchio, che segna il confine;
si passa il ponte e Vecchiano ti accoglie,
ai piedi del Castello si raccoglie,
di pietra aspra, squarciate, le colline.

Al centro della piazza, Garibaldi
evoca tempi carichi di gloria;
ricordano la più lontana storia
 Bifore e merli dell’antica Torre.

Giochi di bimbi, chiacchiere e commenti, 
la vita quotidiana intorno scorre:
ritmi di sempre, vecchi e nuovi eventi.

A questi luoghi, a tempi ormai passati,
ci legano memorie e sentimenti:
questo è il paese dove siamo nati.

                                                  * Da "Cinema Teatro Olimpia dei Fratelli Bartalini"
             Ed Europolis, 2011


     

Belvedere Puccini


 Brume d’autunno sulle acque silenti
Vélano le colline in lontananza;
fischiano nei canneti freddi venti,
l’acqua dal cielo non ha più distanza.

La villa, austera, guarda a sé di fronte,
luci e colori la stagione smorza:
livido il lago, i monti all’orizzonte,
il  passato e i  ricordi  prendon forza.

Quando sorse tra noi un grande artista,
qui visse e amò la gente e questi luoghi
e si ispirò a questa stessa vista.

La musica da qui prese le ali:
armonia e canto, storie e sentimenti,
immensa arte in opere immortali.

     

S. Ranieri

                                                                                                                                                                               Caro Renato, penso che, se c’eri,
ti sarebbe garbata proprio tanto
la grande festa che per S. Ranieri
Pisa ha voluto in suo onore e vanto.

E nell’anno del grande Giubileo
la luminaria è stata ancor più bella:
la magia dei Lungarni e lumi asdeo,
ognuno fa tremar la sua fiammella.

E poi, quando nel blu la sera scende,
lento, sull’Arno, scivola il corteo,
tra due ali di popolo che attende.

Così il Santo rincasa in Cattedrale,
mentre Pisa rinnova il suo saluto
ed un canto di lode al Cielo sale.

Come la banderuola

  Come la banderuola sopra il tetto
il mondo cambia al vento della vita
e chi a inseguire  sogni era diretto
ora si gioca l’ultima partita.
    

Come uno specchio i volti degli amici
    ti rimandano i segni dell’età;
    la mente e il cuore intrecciano  ricordi
    e il tempo sempre più ti sfuggirà.
 

E dal setaccio ormai sono passate
 illusioni ed effimere vittorie,
soltanto poche cose son restate:
 

le tracce della vita ed il coraggio,
preghiere con o senza le parole: 
il bagaglio per l’ultimo viaggio.
     

Vecchiano e dintorni




 Prova a levatti la soddisfazione,
la sera, di piglia’ la bicicretta
e anda’ in Bonifia , nella su’ stagione:
un assarto di lucciole t’aspetta.

Poi se in Padule abbocchi  un arginello
ti rintontisce ‘r coro de’ ranocchi,
ma stai attento, perché ‘un è punto bello
trovassi le zanzare anco nell’occhi.

Se cerchi ll’aria fine, vai in Castello,
ma è meglio andacci a piedi sull’artura:
di notte ’r panorama è anche più bello
e anco Vecchiano fa la su’ figura.

Versilia, Pisa, Lucca tutto ‘ntorno,
ti pòi sceglie’ la meta che ti pare:
i monti, la ‘ollina, e ‘ll Lago, ‘r mare,
e se vòi, un po’ più in là, anco Livorno.

Però tieni presente, ‘un ti scordare:
che Vecchiano è bello, sì, la notte,
ma per noi è ‘r meglio posto
anco di giorno.





 
                                                                                                                               

 

                                                                

Sonetti Mariani

                                                               La tradizione del Sonetto, dedicato alla Madonna in occasione delle feste triennali nei nostri paesi, è in uso da molti anni, come risulta anche dalla pubblicazione di Don Franco Baggiani (…Tra le varie abitudini ci fu anche quella di stampare dei piccoli manifesti per le feste triennali, contenenti uno o due sonetti. Si conosce esempio di questo almeno dal 1868).   
L'anno tra parentesi accanto ad alcuni titoli indica che il sonetto è stato pubblicato per la festa  della Madonna delle Grazie nella Parrocchia di S. Frediano, o della Madonna di Castello nella Parrocchia di S.Alessandro , in Vecchiano.



                                                                 A sera (2005)

A sera, quando la campana suona,
per dir che un altro giorno è terminato,
a chi si volge il nostro cuore grato?
Pensiamo a Te, o santa Madre buona.

    San Frediano, tra il colle e la campagna,
    tante case e le strade tutto intorno,
    lo sa che nella vita di ogni giorno
    la Madonna ci assiste e ci accompagna.

Nell’ora del dolore ci consoli
e per la gioia  noi ti ringraziamo;
sappiamo di non essere mai soli.

Tu ci sostieni e i nostri passi guidi
Madonna delle Grazie venerata
e insieme al Tuo Bambino ci sorridi.




Quante volte    (2006)
                                                                                                                               


Quante volte il pensiero di Maria
addolcisce il cammino faticoso
su per il colle, lungo questa via
e rende il nostro animo gioioso!

Qui c’è la tua dimora, Madre Santa,
tra pietra, erba e l’uliveto antico;
quassù la pace il nostro cuore incanta
e lo sguardo ritrova un luogo amico.

Su per il monte profumi e colori
d’umili piante, nate sulla roccia,
salde e tenaci come i nostri cuori

nei quali la preghiera sempre sboccia,
come un messaggio tenero e diletto,
certi del Tuo conforto e del Tuo affetto.






                                               Nel silenzio                                                                       
                                                                                                                                                                                                                                          Nel silenzio si leva la preghiera :
    voci diverse, tremule, argentine,
    in un unico coro senza fine
    nella luce dorata della sera.

          E  Tu, Maria, sopra le stelle splendi
        e vedi la nostra vita operosa,
         o santa Madre, grande e generosa
        lo sguardo dolce sopra noi sospendi.

Tu sola dentro i nostri cuori leggi,
conosci affanni, sogni e desideri
e con materno affetto ci proteggi

        ed alimenti in chi prega e crede,
        Madonna della Grazie sempre amata,
        la carità, la speranza e la fede.
                                                                                                                   29 Giugno  2007

 

          

                             Hanno freschi pensieri  (2008)

   Hanno freschi pensieri appena nati
e sguardi che accarezzano le nubi;
sorrisi come fiori ora sbocciati
e l’innocenza, che nessuno rubi.

Pensieri come un volo di aquiloni
colorati e leggeri vanno su :
Tu lassù li raccogli, Madonnina,
perché ci giochi il Tuo Bambin Gesù.

Piccoli passi vanno incontro alla vita
chi lo sa quali vie percorreranno:
guidali, Madre di bontà infinita.

E mani come farfalle a salutare,
o soave Madonna delle Grazie,
che nel tuo cuore ci farai abitare.




  Davanti all'immagine   

 Oro regale di ornata corona
Risplende sulla Tua serena fronte;
Mistica luce al tuo bel volto dona 
Come il sole che sorge all’orizzonte.

  Ma gli occhi tuoi ed il tuo bel sorriso 
Splendono più dell’oro e più del sole:
carezza il nostro sguardo il tuo bel viso,
e a noi Tu parli  senza dir parole. 

Il Bambino si posa con dolcezza
Sopra al seno materno, e la tua mano
Lo sorregge con tanta tenerezza
Anche noi, cara Madre, ci sentiamo
Vicini al cuore tuo, poiché tu ascolti
Tutti i pensieri che ti confidiamo.




    In Castello

Rosa Mistica, che da sempre al cuore
Sai dare gioia e consolare il pianto,
Ogni voce si unisce e un dolce canto
Si leva a Te, Madre del Redentore.

 
    E’ più vicino al cielo il tuo Castello,
    Dal quale contempliamo il tuo mistero:
    Per Te non c’è parola né pensiero
    Che sia per la tua gloria troppo bello.

 
Ascolta, o Vergine degna di lode,
Degli Angeli Regina in Paradiso,
Il nostro canto che lassù si ode.

 
    E infine, quando discendiamo il colle,
    Serbiamo nello sguardo il tuo bel viso,
    Come questo paese sempre volle.